Cominciare la giornata con della buona musica, una buona dose di fette di pane tostato con burro e marmellata, una spremuta appena fatta e due chiacchiere sul quanto quest’ostello sia assolutamente una sorpresa in positivo. Cosa c’è di meglio!?
Parto “prestissimo”, prendo il primo treno utile per Sintra ed in 40 minuti sono lì.
Sintra è un paesino famoso per il suo enorme parco fiabesco, in mezzo al quale svettano il castello dei mori ed il Palazzo de Pena. Per economizzare tempo ho visitato quest’ultimo. Un grandissimo palazzo voluto dal re Ferdinando di Coburgo Gotha, costruito partendo da un antico monastero. Infatti in alcune parti del palazzo sono riconoscibili degli elementi tipici delle chiese. Fa strano vedere volte ed archi come soffitto di una sala da pranzo o di una camera da letto. E saloni arredati in stile indiano, mobili cinesi, moderni bagni con doccia, completano il quadro.
Un bellissimo palazzo, niente da dire, ma mentre attraversavo quelle suntuose stanze sognavo i vicoli di Lisbona, la brezza marina e le urla dei gabbiani. Non ho perso altro tempo e sono corsa alla stazione, mangiando un panino al volo in un curioso bar rosa confetto gestito da due simpatici e solerti ometti.
Il treno mi ha riportato nella capitale poco dopo le 14 ed ho subito ripreso i miei vagabondaggi per gli stretti vicoli della Baixa. Sono entrata nel Convento di Carmo, una grande cattedrale scoperchiata che ricorda molto San Galgano, e poi ho proseguito per il quartiere cercando un punto panoramico dal quale fare foto da cartolina.
Non sono riuscita a trovare nessun mirador in particolare, ma in compenso mi sono imbattuta fortuitamente nell’ascensore + famoso di Lisbona. L’elevador de Bica. Il buon fotografo sa attendere, ed io mi sono messa pazientemente seduta nel punto migliore per scattare, una volta che l’ascensor fosse partito.
Visto che non dava segni di muoversi, alla fine mi sono avvicinata ed ho iniziato a “far fuoco” su di una anziana signora che stava seduta all’interno. Un ciabattino lì davanti mi ha visto e mi ha chiesto se quella donna fosse mia parente e se io le avessi chiesto il permesso di fotografarla.
Non avendo nessunissima voglia di iniziare una discussione con un personaggio che non voleva minimamente mollare la presa (e avendo già prodotto uno scatto interessante!), me ne sono tornata al mio angolino, ho aspettato il passaggio dell’ascensore e ho proseguito.
(qui mi aspetto un commento da Guido… eheheheh)
I vicoli perpendicolari alla salita dell’ascensore mi sembravano molto tipici e “pittoreschi”, e ho iniziato a percorrerli.
Ho volutamente utilizzato il termine pittoresco, perché non si sa come, ma ha sempre una valenza eufemistica. Difatti, quelle stradine così colorate e deliziose avevano una congiuntura maleodorante di rasghi di nottate brave, luculliani pasti e fugaci incontri amorosi. In più, il passaggio di qualche soggetto non proprio rassicurante, mi ha fatto tornare lesta sul viale principale.
Raminga arrivo al Chiado, faccio la foto di rito col Sig. Pessoa (facendo ripetere l’operazione al mio fotografo del momento, che al primo colpo mi aveva segato i piedi!!! grrrr) e salgo sull’ascensore di Santa Justa, pagando ben 5 Euro per accedere anche al mirador.
Non mi pentirò mai di quella spesa, prima di tutto perchè salendo fino in cima ho distaccato la ragazza italiana + fastidiosa che abbia mai incontrato in vita mia, e secondo perchè da lassù ho goduto di una vista fantastica sull’Alfama.
La luce si stava facendo calda e stava perdendo la durezza delle ore centrali del giorno, i viali in basso disegnavano perfette perpendicolari che cozzavano sul disordine del quartiere moresco, i gabbiani sfrecciavano veloci di fronte all’imponente mole del castello, che se ne sta placido come un drago addormentato sulla cima della collina.
Approfittando del fisheye, mi sono scattata qualche foto, e una ragazza giapponese, impietosita dai miei miseri tentativi, si è offerta di farmene qualcuna. Non ho saputo resistere dal ridere quando lei, appoggiando l’occhio sul mirino, ha iniziato ad emettere gridolini di sorpresa alla vista dello spropositato angolo di ripresa che si gode col fisheye! Era talmente gasata, poverina, che mi ha scattato una marea di foto… tutte ovviamente con la sua bella ombra in primo piano! eheheheheh… Questo mi serva di lezione per quando, a Firenze, ai bei tempi delle analogiche, facevo le foto ai giapponesi tagliando loro le teste, o riprendendo il marciapiede anziché il campanile del Brunelleschi!!! xD
Beh, sono rimasta un bel po’ affacciata lassù, non ne volevo sapere di scendere. Era l’ultimo abbraccio che davo a Lisbona, e volevo imprimere ben bene quella città e quell’atmosfera nei miei occhi, nella mia anima.
Qualcosa infatti di quel momento mi è rimasto. Un bel raffreddore che è esploso già al mio ritorno a Siviglia.
Insomma, scesa da lì sono tornata in ostello, per far passare le ultime due ore prima di avviarmi verso la stazione dei bus. Ho salutato le mie nuove conoscenze ed i ragazzi dello staff, che mi hanno abbracciato come se fossi un’amica di lunga data, ho preparato bene lo zaino per affrontare il viaggio (e siccome l’esperienza insegna, mi sono comprata una coperta di pile alla modica cifra di 1.90 Euro per dormire come una papessa!) ed insieme a Dominick e alle sue due tavole da surf, ho preso la metro per la stazione degli autobus.
Non seguirà un paragrafo sulle mie impressioni + intime e personali, quelle se me lo concedete me le tengo per me. 😉 Qui ci sono solo i fatti e le sensazioni + palesi e forti.
Per cocludere, dopo 8 ore di sonno quasi decente, sono arrivata alla stazione di Plaza de Armas alle 5am, e tirandomi dietro il mio piccolo bagaglio rosa, sono tornata a piedi a casa.